2023-02-28 09:51:43
Inflazione francese YoY di febbraio in uscita oggi alle 8:45 (stima 6,2% contro 6% di gennaio) e spagnola alle 9:00 (stima 5,9% invariata rispetto a gennaio). Alle 15:45 è invece atteso l’indice PMI Chicago di febbraio (stima 45 punti contro 44,3 di gennaio) mentre alle 16:00 uscirà la fiducia dei consumatori MoM di febbraio (stima 108,5 contro 107,1 di gennaio).
Ieri il dato di M3 di gennaio dell’Europa è risultato in contrazione (3,5% contro 3,9% atteso). La base monetaria, nonostante risulti ancora in espansione, indica tuttavia una contrazione dell’attività produttiva. In USA gli ordini di beni durevoli MoM sono risultati peggiori delle aspettative (-4,5% contro -4% atteso e +5,1% di dicembre).
Portate l’inflazione all’obiettivo del 2% in modo tempestivo. Questo le parole del gufo o civetta (come ama definirsi) della Lagarde. Battute a parte, quello che si sa è che il 16 marzo prossimo la BCE aumenterà di ulteriori 50 bp i tassi. Per quanto riguarda il meeting di maggio, la Lagarde correttamente non si sbilancia. Il che significa che potrebbero esserci ulteriori aumenti di 50 bp. Dipenderà dai dati di inflazione soprattutto di fondo, che resta sui livelli massimi storici al 5,3%.
La Lagarde è convinta che nei prossimi mesi la crescita dei prezzi possa frenare. Non siamo tuttavia così sicuri che la frenata sarà così convincente. Probabilmente dovremo aspettare il 2024 per vedere qualcosa di più concreto. E questo per diversi motivi, tra i quali:
• la resistenza alla discesa dell’inflazione di fondo, che sta a significare come la crescita dei prezzi sia ormai infiltrata in gran parte dei settori produttivi e dei servizi. E una volta cresciuti, i prezzi difficilmente scendono;
• l’effetto di “sostituzione” dei fornitori cinesi con fornitori di altre zone del mondo, tra le quali Europa e America che ha fatto crescere i prezzi. La fase di sostituzione non si sta rivelando rapida nè tantomeno indolore e, una volta terminata i prezzi rimarranno probabilmente più alti (anche se smetteranno di crescere);
• le politiche fiscali di sostengo al caro energia, che stanno lavorando in modo contrario alla politica fiscale, sostenendo l’inflazione;
• storicamente è stato relativamente semplice far scendere l’inflazione dai livelli molto elevati a livelli più contenuti. Molto più complesso è stato invece fare l’ultimo miglio (per esempio dal 3% al 2%).
Storicamente quando l’inflazione è cresciuta così tanto come è avvenuto nelle economie avanzate negli ultimi mesi, sono stati necessari diversi anni perché potesse ritornare a livelli accettabili. In un recente report Merryl Lynch ha analizzato quanto tempo è stato necessario negli ultimi quarant’anni perché l’inflazione tornasse al 2% dopo aver superato un livello del 5%. La risposta è stata10 anni.
I mercati stanno però scommettendo in una rapidissima disinflazione, mai avvenuta nella storia economica recente e soprattutto senza che si verificasse una profonda fase di recessione. Ma c’è sempre una prima volta. L’incertezza però continua. E non potrebbe essere altrimenti con una guerra in corso. Per i mercati, che sono sempre banche centrali dipendenti, diventa quindi cruciale chiedersi dove andranno a finire i tassi di interesse nel 2023?
L’aumento dei tassi potrebbe infatti fermarsi al 4%, livello che rappresenterebbe una sorta di compromesso tra la necessità di ridurre la corsa dei prezzi e portare il sistema economica verso un soft landing. Ma potrebbe anche raggiungere livelli più elevati e compatibili con il “portare l’inflazione rapidamente all’obiettivo del 2%”. Soprattutto se la crescita dei prezzi in Europa dovesse superare nel corso del 2023 il 6% in media e rimanere stabilmente sopra di quella degli USA.
Per combattere l’inflazione in modo significativo i tassi di interesse di riferimento dovrebbero mantenersi per un periodo prolungato più alti del tasso di inflazione (il tasso reale dovrebbe rimanere a lungo positivo).
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